
Il restauro come atto di meraviglia
Condividiamo con piacere questo nostro articolo sui lavori di Restauro della Chiesa di San Domenico:
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Scriveva Marguerite Yourcenar a proposito del restauro: “Non c’è nulla di più fragile dell’equilibrio dei bei luoghi”. Dopo il sisma del 2012, abbiamo trovato una San Domenico estremamente fragile: ferita da gravi lesioni, incurvata dal tempo, sfigurata da un degrado avanzato. La chiesa più monumentale di Modena, costruita in piena gloria barocca, con i suoi 43 metri d’altezza, i suoi 56.000 metri cubi di volume e le sue 20.000 tonnellate di peso, stava perdendo il suo equilibrio: strutturale, materiale ed estetico-compositivo. Con il progetto di “Riparazione e rafforzamento”, a seguito dei danni indotti dal sisma, ci siamo posti due obiettivi: 1) agire sul comportamento dell’edificio; 2) farlo, secondo i principi del restauro: riconoscibilità, reversibilità, compatibilità e minimo intervento. Può risultare strano pensare che gli edifici abbiano un “comportamento”, perché siamo soliti guardarli come a qualcosa di stabile nel tempo; siamo infatti soliti chiamarli “immobili”. Tuttavia, quando si lavora sulle strutture, e in particolare se si vuole prevenire i danni dei terremoti, bisogna cambiare punto di vista. Bisogna pensare che un edificio è un corpo aggregato di diversi elementi che si muovono, sia separatamente gli uni dagli altri, sia tutti insieme. Questi movimenti vengono chiamati “meccanismi” locali o globali e possono essere più o meno accentuati, fino a portare, in alcuni casi, al collasso parziale o totale. Ora, come accade con le persone, sappiamo bene quanto è più facile agire sulla superficie, cambiare il loro aspetto esteriore piuttosto che cambiare il loro comportamento. Così è anche per gli edifici. Così è anche nel restauro. Molto facile è agire sulla superficie più esterna, sull’apparenza, su quello strato ultimo che spesso è solo un’ultima maschera applicata (e non sempre è congrua), ma molto più complesso è agire sul comportamento, per migliorarlo, per dargli la capacità di resistere al tempo. Il progetto ha ricucito gli elementi sconnessi, scegliendo ogni volta quello che poteva essere il minimo intervento, coerente e compatibile, dettato dalla conoscenza storica e materiale dell’edificio. Sono stati messi in opera alle imposte degli archi numerosi tiranti in acciaio, di cui l’edificio era privo, ai fini di collegare tutte le strutture murarie e prevenirne i movimenti. Laddove le catene storiche si erano spezzate, sono state rinsaldate, laddove erano state tagliate da interventi poco rispettosi, sono state reintegrate. Le lesioni delle murature sono state riparate con iniezioni di malte a base di calce e con cunei, ai fini di ricostituire la continuità muraria. Atri interventi hanno riguardato le volte, consolidate mediante colature di calce e fasciature dell’estradosso con fibre di vetro. È stato effettuato un’importante opera di consolidamento delle murature e della guglia del campanile, già compromesso dai sismi del passato, mediante un’attenta ristilatura armata, e si è provveduto al restauro delle basi monumentali delle croci presenti sulle sommità del campanile e della facciata, anch’esse totalmente dislocale e sfaldate dal sisma. Ogni intervento di reintegrazione è risultato riconoscibile da vicino ma non da lontano, come teorizzava Cesare Brandi, nel rispetto dell’unitarietà e dell’autenticità della visione d’insieme. Le opere d’arte presenti nella chiesa sono state attentamente protette durante le fasi di restauro. Imponenti reticoli di ponteggi multidirezionali sono stati elevati da terra fino a 42 metri d’altezza, previe analisi georadar per indagare la presenza di eventuali vuoti e antiche tombe sotto la pavimentazione. Alcuni interventi hanno visto la necessità di agire in edilizia acrobatica. Saggi stratigrafici preventivi hanno messo in luce la presenza di strati originali decorati a volute e cassettonati dipinti perduti. La conoscenza della storia dell’edificio e dei suoi restauri passati, in particolare dei restauri ottocenteschi, dei crolli dovuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dei danni dal sisma del 1996, ci hanno permesso di leggere le stratigrafie e adottare le scelte più coerenti. Purtroppo in alcuni casi abbiamo trovato pellicole o stuccature incongrue applicate in passato che hanno causato danneggiamenti ai substrati. Intonaci, cornici, stucchi, altari: ogni superficie decorata, interessata da lesioni, è stata studiata, consolidata e restaurata. Particolarmente delicato è stato l’intervento nella cupola, per la notevole altezza, le fessurazioni, le infiltrazioni pregresse di acqua piovana e il fragile intonaco a base di gesso. Si è intervenuti con microiniezioni e microstuccature di consolidamento. Dove la materia era compromessa da muffe interstiziali, è stata risanata e reintegrata con materiali compatibili e traspiranti. Il restauro ha interessato anche parti più minute, che erano compromesse: dai putti in stucco della cupola, con le loro armature lignee talvolta spezzate, ai capitelli corinzi, fino alla cappella della Beata Vergine Addolorata, segnata da decenni di umidità e di tinteggiature incongrue stese nel passato. Anche qui, il lavoro attento e delicato dei restauratori ha riportato in luce non solo le cromie originarie, ma anche la dignità di uno spazio privato e carico di memoria. Poter intervenire su San Domenico è stato anche un atto di meraviglia. Salire nei sottotetti e ritrovare annegate nei muri le catene lignee che avevamo visto disegnate a mano nelle planimetrie del Torri; osservare gli strati nascosti dei decori della cupola e scoprire, tra le volute, le firme lasciate dagli artigiani dell’Ottocento; ritrovare sui resti di abside originaria i dipinti a cassettonato e sul timpano di facciata l’affresco del Padre eterno, probabilmente staccato dall’antico convento; mettere in luce le foglie d’oro delle cornici coperte da strati di tempera; osservare da vicino le statue in stucco del Mazza e notare come le parti non a vista fossero lasciate abbozzate a denunciare l’artificio della tecnica…Restaurare è anche poter restituire autenticità e bellezza. Costruita tra il 1708 e il 1731 come chiesa di corte degli Estensi, San Domenico ha un’intrigante storia di relazioni con il palazzo ducale, di passaggi segreti, ora sotterranei, ora pensili. Si è vestita di ricchi apparati barocchi, ha potuto godere di donazioni di famiglie benefattrici, ma ha anche vissuto la distruzione della guerra, l’incuria del tempo, i danni dei terremoti, della subsidenza, dell’umidità. Il suo equilibrio, rinnovato, è ora affidato alla sua manutenzione, nel tempo. I lavori, finanziati in gran parte dalla Regione Emilia Romagna, sono stati realizzati in due stralci successivi, entrambi della durata di due anni (2017-2019 e 2022-2024), per un importo totale di 1.600.000 euro. Entrambi sono stati affidati all’ impresa di restauro Leonardo s.r.l. e diretti dalla scrivente e dall’ing. Alessandro Lometti, con la supervisione dei RUP ing. Alberto Biondini e ing. Giorgio Piacentini, del colladatore ing. Francesco Minghelli, con la collaborazione dell’Ufficio Ricostruzione dell’Arcidiocesi di Modena, con il benestare della Soprintendenza e con la cura, amorevole e quotidiana, dei Padri Paolini. ----------------------------- (Elena Silvestri)
Scriveva Marguerite Yourcenar a proposito del restauro: “Non c’è nulla di più fragile dell’equilibrio dei bei luoghi”. Dopo il sisma del 2012, abbiamo trovato una San Domenico estremamente fragile: ferita da gravi lesioni, incurvata dal tempo, sfigurata da un degrado avanzato. La chiesa più monumentale di Modena, costruita in piena gloria barocca, con i suoi 43 metri d’altezza, i suoi 56.000 metri cubi di volume e le sue 20.000 tonnellate di peso, stava perdendo il suo equilibrio: strutturale, materiale ed estetico-compositivo. Con il progetto di “Riparazione e rafforzamento”, a seguito dei danni indotti dal sisma, ci siamo posti due obiettivi: 1) agire sul comportamento dell’edificio; 2) farlo, secondo i principi del restauro: riconoscibilità, reversibilità, compatibilità e minimo intervento. Può risultare strano pensare che gli edifici abbiano un “comportamento”, perché siamo soliti guardarli come a qualcosa di stabile nel tempo; siamo infatti soliti chiamarli “immobili”. Tuttavia, quando si lavora sulle strutture, e in particolare se si vuole prevenire i danni dei terremoti, bisogna cambiare punto di vista. Bisogna pensare che un edificio è un corpo aggregato di diversi elementi che si muovono, sia separatamente gli uni dagli altri, sia tutti insieme. Questi movimenti vengono chiamati “meccanismi” locali o globali e possono essere più o meno accentuati, fino a portare, in alcuni casi, al collasso parziale o totale. Ora, come accade con le persone, sappiamo bene quanto è più facile agire sulla superficie, cambiare il loro aspetto esteriore piuttosto che cambiare il loro comportamento. Così è anche per gli edifici. Così è anche nel restauro. Molto facile è agire sulla superficie più esterna, sull’apparenza, su quello strato ultimo che spesso è solo un’ultima maschera applicata (e non sempre è congrua), ma molto più complesso è agire sul comportamento, per migliorarlo, per dargli la capacità di resistere al tempo. Il progetto ha ricucito gli elementi sconnessi, scegliendo ogni volta quello che poteva essere il minimo intervento, coerente e compatibile, dettato dalla conoscenza storica e materiale dell’edificio. Sono stati messi in opera alle imposte degli archi numerosi tiranti in acciaio, di cui l’edificio era privo, ai fini di collegare tutte le strutture murarie e prevenirne i movimenti. Laddove le catene storiche si erano spezzate, sono state rinsaldate, laddove erano state tagliate da interventi poco rispettosi, sono state reintegrate. Le lesioni delle murature sono state riparate con iniezioni di malte a base di calce e con cunei, ai fini di ricostituire la continuità muraria. Atri interventi hanno riguardato le volte, consolidate mediante colature di calce e fasciature dell’estradosso con fibre di vetro. È stato effettuato un’importante opera di consolidamento delle murature e della guglia del campanile, già compromesso dai sismi del passato, mediante un’attenta ristilatura armata, e si è provveduto al restauro delle basi monumentali delle croci presenti sulle sommità del campanile e della facciata, anch’esse totalmente dislocale e sfaldate dal sisma. Ogni intervento di reintegrazione è risultato riconoscibile da vicino ma non da lontano, come teorizzava Cesare Brandi, nel rispetto dell’unitarietà e dell’autenticità della visione d’insieme. Le opere d’arte presenti nella chiesa sono state attentamente protette durante le fasi di restauro. Imponenti reticoli di ponteggi multidirezionali sono stati elevati da terra fino a 42 metri d’altezza, previe analisi georadar per indagare la presenza di eventuali vuoti e antiche tombe sotto la pavimentazione. Alcuni interventi hanno visto la necessità di agire in edilizia acrobatica. Saggi stratigrafici preventivi hanno messo in luce la presenza di strati originali decorati a volute e cassettonati dipinti perduti. La conoscenza della storia dell’edificio e dei suoi restauri passati, in particolare dei restauri ottocenteschi, dei crolli dovuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dei danni dal sisma del 1996, ci hanno permesso di leggere le stratigrafie e adottare le scelte più coerenti. Purtroppo in alcuni casi abbiamo trovato pellicole o stuccature incongrue applicate in passato che hanno causato danneggiamenti ai substrati. Intonaci, cornici, stucchi, altari: ogni superficie decorata, interessata da lesioni, è stata studiata, consolidata e restaurata. Particolarmente delicato è stato l’intervento nella cupola, per la notevole altezza, le fessurazioni, le infiltrazioni pregresse di acqua piovana e il fragile intonaco a base di gesso. Si è intervenuti con microiniezioni e microstuccature di consolidamento. Dove la materia era compromessa da muffe interstiziali, è stata risanata e reintegrata con materiali compatibili e traspiranti. Il restauro ha interessato anche parti più minute, che erano compromesse: dai putti in stucco della cupola, con le loro armature lignee talvolta spezzate, ai capitelli corinzi, fino alla cappella della Beata Vergine Addolorata, segnata da decenni di umidità e di tinteggiature incongrue stese nel passato. Anche qui, il lavoro attento e delicato dei restauratori ha riportato in luce non solo le cromie originarie, ma anche la dignità di uno spazio privato e carico di memoria. Poter intervenire su San Domenico è stato anche un atto di meraviglia. Salire nei sottotetti e ritrovare annegate nei muri le catene lignee che avevamo visto disegnate a mano nelle planimetrie del Torri; osservare gli strati nascosti dei decori della cupola e scoprire, tra le volute, le firme lasciate dagli artigiani dell’Ottocento; ritrovare sui resti di abside originaria i dipinti a cassettonato e sul timpano di facciata l’affresco del Padre eterno, probabilmente staccato dall’antico convento; mettere in luce le foglie d’oro delle cornici coperte da strati di tempera; osservare da vicino le statue in stucco del Mazza e notare come le parti non a vista fossero lasciate abbozzate a denunciare l’artificio della tecnica…Restaurare è anche poter restituire autenticità e bellezza. Costruita tra il 1708 e il 1731 come chiesa di corte degli Estensi, San Domenico ha un’intrigante storia di relazioni con il palazzo ducale, di passaggi segreti, ora sotterranei, ora pensili. Si è vestita di ricchi apparati barocchi, ha potuto godere di donazioni di famiglie benefattrici, ma ha anche vissuto la distruzione della guerra, l’incuria del tempo, i danni dei terremoti, della subsidenza, dell’umidità. Il suo equilibrio, rinnovato, è ora affidato alla sua manutenzione, nel tempo. I lavori, finanziati in gran parte dalla Regione Emilia Romagna, sono stati realizzati in due stralci successivi, entrambi della durata di due anni (2017-2019 e 2022-2024), per un importo totale di 1.600.000 euro. Entrambi sono stati affidati all’ impresa di restauro Leonardo s.r.l. e diretti dalla scrivente e dall’ing. Alessandro Lometti, con la supervisione dei RUP ing. Alberto Biondini e ing. Giorgio Piacentini, del colladatore ing. Francesco Minghelli, con la collaborazione dell’Ufficio Ricostruzione dell’Arcidiocesi di Modena, con il benestare della Soprintendenza e con la cura, amorevole e quotidiana, dei Padri Paolini. ----------------------------- (Elena Silvestri)
Anno: 2025
Progettisti: Arch. Elena Silvestri, Ing. Alessandro Lometti